mercoledì 25 aprile 2012

INTERVISTA A ELISABETTA BAGLI autrice di "Voce"




1.      Elisabetta Bagli. Scrittrice e poetessa. Cosa si nasconde dietro a ciò?

Buongiorno. Bella domanda, cosa si nasconde? Posso dirti che, in realtà, Elisabetta Bagli non nasce né scrittrice né poetessa, ma entra nella vita sociale come commercialista. Difatti sono laureata in Economia e Commercio all’Università “La Sapienza” di Roma. E, pur essendo considerate materie umanistiche Diritto ed Economia non posso considerarsi alla stessa stregua di Lettere e Filosofia per quanto concerne la Letteratura e la Poesia. Il mio percorso di vita fino al 2009 è stato completamente un altro e nella mia vita, tutto mi sarei immaginata tranne che diventare scrittrice. Sono una divoratrice di libri, classici, contemporanei e moderni. Ma devo ammettere che non ho amato leggere da sempre, così come non ho scritto da sempre, neanche un mio piccolo pensiero sul diario. La mia crescita, il mio impulso poetico l’ho sentito molto più tardi. Ho iniziato a leggere sul serio alle scuole superiori perché, strano a dirsi, la mia bestia nera era proprio l’italiano. Per me, abituata sempre a prendere voti alti in tutte le materie era intollerabile prendere un cinque nei temi di italiano. La mia professoressa del biennio di Ragioneria per aiutarmi, diceva lei,  mi “costrinse” a leggere tre libri al mese per poter sopperire alle mie mancanze linguistiche. All’epoca la odiavo. Non capivo il motivo per il quale ero costretta a leggere libri di autori del calibro di Brecht, Kafka, Mann, Pavese, Calvino, Levi e altri contemporanei, libri senz’altro splendidi, ma difficili da leggere per una ragazza di quattordici anni come me che aveva vissuto fino ad allora in un mondo ovattato. Eppure, vedevo che leggendo mi si apriva la mente, sentivo che la lettura influiva positivamente nel mio modo di vedere le cose, nel mio modo di pormi innanzi alla vita e mi faceva riflettere su aspetti del tutto nuovi e sui quali mai prima di allora mi ero soffermata . Alla fine questi libri mi piacquero così tanto che feci una richiesta specifica ai miei genitori per il mio compleanno: desideravo la collana dei classici De Agostini che all’epoca si pubblicizzava in TV e si vendeva all’edicola. Certo, fino all’adolescenza avevo letto i classici per ragazzi, anche se non ero mai stata troppo appassionata di Salgari e della Alcott. Mi piaceva Wilde con il suo “The Canterville Ghost” e il mio amore per lui è proseguito ed è andato in crescendo, fino ai nostri giorni. Ma non avevo predilezione né per il genere di avventura né per quello fantastico, tipici dei libri per quell’età. Con la letteratura adulta, mi si è aperto un mondo infinito davanti ai miei occhi. Leggere Proust, Tolstoj, Pirandello e il Wilde del “Ritratto di Dorian Gray” e de “De profundis” è stata una gradiosa ed entusiasmante avventura.
Ho desiderato essere i personaggi descritti nei loro libri e avrei desiderato che tutti fossero usciti dalla mia penna. Ma poco a poco ho accantonato questo desiderio e ho seguito la via che credevo fosse quella disegnata per me e ho intrapreso gli studi economici. Me ne sono ricordata quando stavo scrivendo la tesi di laurea, ovvero, quando un mio amico, al quale chiedevo consigli, mi disse “tu puoi scrivere qualcosa per te, perché non lo fai, invece di esprimerti attraverso le poesie e le parole degli altri?” E così sono nata Elisabetta Bagli, scrittrice e poetessa.

2.       “Voce” è la tua prima silloge poetica. Come mai questo titolo?

Il titolo nasce dal fatto che la mia voce interna non era mai stata ascoltata da nessun altro eccetto che da me e ho sentito che potevo, anzi che dovevo farla ascoltare anche agli altri tramite la scrittura delle mie poesie. Avevo molto da dire e sento che ho ancora molto da dire. La mia “Voce”, come ho descritto nella poesia che dà il titolo alla silloge è come un fiume sotterraneo e silenzioso che ha scavato a lungo dentro di me e poi è venuto fuori all’improvviso per una sfida raccolta con lo stesso amico, che mi esortava a tentare nella scrittura dicendomi sempre “tu puoi”. Ecco com’è nata “Voce”. E la poesia perché è un genere immediato e si può dar voce ai propri sentimenti in un istante, proprio come faceva Emily Dickinson, poetessa a cui mi ispiro e come hanno fatto i miei amati Keats, Byron, Baudelaire, D’Annunzio e gli ermetici.

3.      In “Chi sono?” parli della tua vita come di un gioco di luci e d’ombre. Sono le luci a sovrastare le ombre o le ombre a surclassare le luci?

Le ombre sicuramente ci sono e sono presenti nell’arco di tutta la mia vita, ma ho molte più luci, molte più presenze ed eventi che hanno reso positiva la mia vita che sovrastano decisamente le mie ombre. Anche se non potrei mai percepire l’intensità di queste luci se non ci fossero le ombre a contrastarle.

4.      Spesso nei tuoi componimenti ritorna il colore bianco. Un colore che solitamente io associo ad una calma interiore, ma per te sembra essere quasi negativo ed infatti tendi a colorarlo. Perché?

E’ vero, spesso mi è stato fatto notare la prevalenza del bianco nelle mie poesie. Io ho sempre amato il nero come colore, anzi per meglio dire, come la negazione dei colori, ma non perché sia caratterialmente una persona oscura. Anzi, forse proprio perché tutti coloro che mi conoscono mi dicono che sono una persona solare è probabile che nel mio incoscio abbia cercato di contrarrestare questa solarità con il nero, quasi a difendere qualcosa che poteva, un giorno, rivolgersi contro di me. Un essere solare e cristallino si espone al mondo molto di più di uno oscuro e cupo ed è propenso a essere ferito. Il bianco rappresenta il mio silenzio durato tutti questi anni prima che uscisse la mia “Voce”, il bianco rappresenta la tela di un pittore, un foglio sul quale scrivere e magari colorare. Con due figli è difficile mantenere la propria vita Bianca o Nera, è assolutamente necessario colorarla e cercare le sfumature di colore che più si adattano agli umori delle giornate per poter andare avanti con serenità. “Di che colore sei oggi, Elisabetta?” E’ una domanda che mi pongo ogni giorno.

5.      In questa raccolta tratti anche il tema della bulimia, apertamente direi visto che intitoli così proprio un componimento, e credo sia anche un modo adatto a sfatare quello che è quasi un tabù riguardo ad alcune malattie. Descrivi la bulimia come un “volevo essere magra, volevo essere amata” ma può ancora essere definita la malattia di chi non ha amore?

Per me è stata una malattia del “non avere amore”. Io mi sentivo grassa, goffa e brutta e mi rendevo conto che nessuno mi voleva per quello “status” che, alla fine, si è rivelato più mentale che fisico. Difatti, la prima persona che non si amava e non si accettava per quello che era, ero proprio io. Bisognava cambiare il “cip” per potermi accettare e questo “cip” mi cambiò parlandone e discutendone con i miei amici e quando incontrai mio marito. Ora la bulimia esiste in quanto ai modelli sociali che ci vengono imposti da riviste e TV di donne straordinarie solo se straordinariamente belle e magre. Nella bulimia come nell’anoressia, penso che alla base ci sia sempre la non completa accettazione di se stessi. E quindi del “non amore” verso se stessi.

6.      In “Il vestito” termini il componimento parlando di qualcuno che ti conosce realmente, profondamente, e che ti salva da te stessa e forse dalla tua parte negativa. Parlacene.

Tutto deriva dal fatto che la maggior parte delle persone, a volte, sente troppo stretti certi “vestiti” che ha indossato per proprio volere, come nel caso della poesia, anelando a toglierseli di dosso. Ma, vista l’impossibilità di farlo risulta preferibile annegare piuttosto che continuare a vivere. E l’incontro con quel qualcuno che le salva togliendole il vestito, senza paura di mostrarsi nuda agli occhi del suo salvatore è provvidenziale. Spesso, ho avuto questa sensazione nella vita, ma bisogna essere in grado di mettere i giusti pesi sulla bilancia per poter ritrovare un proprio equilibrio e continuare a vivere in serenità.

7.      Per concludere  indirizzi tre poesie alle tue terre, quella italiana, per la precisione romana, e quella d’azione, ovvero spagnola. Io non sono mai stata in Spagna e mi sono chiesta: “Il mare a Santander è davvero nero o è lei che lo percepisce così?”

Il mare della poesia “I fuochi di Santander” è nero perché sono i fuochi e noi tutti che eravamo lì a guardarli a rischiarare la notte. Tali luci rendevano più cupo e scuro il mare di Santander, l’Oceano Atlantico, immenso e meraviglioso. Dovresti andarci, anche se ti consiglio di farti un bagno sempre con una muta perché l’acqua è gelata!

8.      I tuoi progetti presenti e futuri e un consiglio a tutti i poeti.

Un mio progetto presente a breve termine è la prossima uscita di “Voz”. Il mio libro “Voce” è già stato tradotto in spagnolo e sarà pubblicato qui in Spagna, in versione bilingue, per la piccola editoriale Booklane per la quale lavoro come traduttrice e come insegnante di italiano nella sua Accademia di lingue. Continuo a scrivere poesie, vorrei raccogliere i miei racconti brevi con i quali partecipai a www.blusubianco.it, terminare i miei libri iniziati e mai finiti... Vorrei consigliare ai poeti di continuare a scrivere sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. Penso che solo assecondando l’ispirazione di può riuscire a trasmettere veramente se stessi, a cogliere l’attimo della nostra vera essenza. Non per niente il mio film preferito è “L’attimo fuggente” (Dead Poets Society) e Carpe Diem si è convertito nel mio stile di vita. Almeno ci provo.


1 commento:

  1. Grazie Elisabetta per codesta intervista a cuore aperto, per me, è servita a conoscerti un po' di più e devo dire che il tuo "ritratto" emerso mi piace davvero.
    Complimenti e "AD MAIORA, NATI SUMUS, BRUTE" Cic.

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