Buongiorno. Bella domanda, cosa si nasconde? Posso
dirti che, in realtà, Elisabetta Bagli non nasce né scrittrice né poetessa, ma entra
nella vita sociale come commercialista. Difatti sono laureata in Economia e
Commercio all’Università “La Sapienza” di Roma. E, pur essendo considerate
materie umanistiche Diritto ed Economia non posso considerarsi alla stessa stregua
di Lettere e Filosofia per quanto concerne la Letteratura e la Poesia. Il mio
percorso di vita fino al 2009 è stato completamente un altro e nella mia vita,
tutto mi sarei immaginata tranne che diventare scrittrice. Sono una divoratrice
di libri, classici, contemporanei e moderni. Ma devo ammettere che non ho amato
leggere da sempre, così come non ho scritto da sempre, neanche un mio piccolo pensiero
sul diario. La mia crescita, il mio impulso poetico l’ho sentito molto più
tardi. Ho iniziato a leggere sul serio alle scuole superiori perché, strano a
dirsi, la mia bestia nera era proprio l’italiano. Per me, abituata sempre a
prendere voti alti in tutte le materie era intollerabile prendere un cinque nei
temi di italiano. La mia professoressa del biennio di Ragioneria per aiutarmi,
diceva lei, mi “costrinse” a leggere tre
libri al mese per poter sopperire alle mie mancanze linguistiche. All’epoca la
odiavo. Non capivo il motivo per il quale ero costretta a leggere libri di
autori del calibro di Brecht, Kafka, Mann, Pavese, Calvino, Levi e altri
contemporanei, libri senz’altro splendidi, ma difficili da leggere per una
ragazza di quattordici anni come me che aveva vissuto fino ad allora in un
mondo ovattato. Eppure, vedevo che leggendo mi si apriva la mente, sentivo che
la lettura influiva positivamente nel mio modo di vedere le cose, nel mio modo
di pormi innanzi alla vita e mi faceva riflettere su aspetti del tutto nuovi e
sui quali mai prima di allora mi ero soffermata . Alla fine questi libri mi
piacquero così tanto che feci una richiesta specifica ai miei genitori per il
mio compleanno: desideravo la collana dei classici De Agostini che all’epoca si
pubblicizzava in TV e si vendeva all’edicola. Certo, fino all’adolescenza avevo
letto i classici per ragazzi, anche se non ero mai stata troppo appassionata di
Salgari e della Alcott. Mi piaceva Wilde con il suo “The Canterville Ghost” e
il mio amore per lui è proseguito ed è andato in crescendo, fino ai nostri
giorni. Ma non avevo predilezione né per il genere di avventura né per quello fantastico,
tipici dei libri per quell’età. Con la letteratura adulta, mi si è aperto un
mondo infinito davanti ai miei occhi. Leggere Proust, Tolstoj, Pirandello e il
Wilde del “Ritratto di Dorian Gray” e de “De profundis” è stata una gradiosa ed
entusiasmante avventura.
Ho desiderato essere i personaggi descritti nei loro
libri e avrei desiderato che tutti fossero usciti dalla mia penna. Ma poco a
poco ho accantonato questo desiderio e ho seguito la via che credevo fosse
quella disegnata per me e ho intrapreso gli studi economici. Me ne sono ricordata
quando stavo scrivendo la tesi di laurea, ovvero, quando un mio amico, al quale
chiedevo consigli, mi disse “tu puoi scrivere qualcosa per te, perché non lo
fai, invece di esprimerti attraverso le poesie e le parole degli altri?” E così
sono nata Elisabetta Bagli, scrittrice e poetessa.
2. “Voce” è la tua prima silloge poetica. Come
mai questo titolo?
Il titolo nasce dal fatto che la mia
voce interna non era mai stata ascoltata da nessun altro eccetto che da me e ho
sentito che potevo, anzi che dovevo farla ascoltare anche agli altri tramite la
scrittura delle mie poesie. Avevo molto da dire e sento che ho ancora molto da
dire. La mia “Voce”, come ho descritto nella poesia che dà il titolo alla
silloge è come un fiume sotterraneo e silenzioso che ha scavato a lungo dentro
di me e poi è venuto fuori all’improvviso per una sfida raccolta con lo stesso
amico, che mi esortava a tentare nella scrittura dicendomi sempre “tu puoi”.
Ecco com’è nata “Voce”. E la poesia perché è un genere immediato e si può dar
voce ai propri sentimenti in un istante, proprio come faceva Emily Dickinson,
poetessa a cui mi ispiro e come hanno fatto i miei amati Keats, Byron,
Baudelaire, D’Annunzio e gli ermetici.
3. In
“Chi sono?” parli della tua vita come di un gioco di luci e d’ombre. Sono le
luci a sovrastare le ombre o le ombre a surclassare le luci?
Le ombre sicuramente ci sono e sono
presenti nell’arco di tutta la mia vita, ma ho molte più luci, molte più
presenze ed eventi che hanno reso positiva la mia vita che sovrastano decisamente
le mie ombre. Anche se non potrei mai percepire l’intensità di queste luci se
non ci fossero le ombre a contrastarle.
4. Spesso
nei tuoi componimenti ritorna il colore bianco. Un colore che solitamente io
associo ad una calma interiore, ma per te sembra essere quasi negativo ed
infatti tendi a colorarlo. Perché?
E’
vero, spesso mi è stato fatto notare la prevalenza del bianco nelle mie poesie.
Io ho sempre amato il nero come colore, anzi per meglio dire, come la negazione
dei colori, ma non perché sia caratterialmente una persona oscura. Anzi, forse
proprio perché tutti coloro che mi conoscono mi dicono che sono una persona
solare è probabile che nel mio incoscio abbia cercato di contrarrestare questa
solarità con il nero, quasi a difendere qualcosa che poteva, un giorno, rivolgersi
contro di me. Un essere solare e cristallino si espone al mondo molto di più di
uno oscuro e cupo ed è propenso a essere ferito. Il bianco rappresenta il mio
silenzio durato tutti questi anni prima che uscisse la mia “Voce”, il bianco rappresenta
la tela di un pittore, un foglio sul quale scrivere e magari colorare. Con due
figli è difficile mantenere la propria vita Bianca o Nera, è assolutamente
necessario colorarla e cercare le sfumature di colore che più si adattano agli
umori delle giornate per poter andare avanti con serenità. “Di che colore sei
oggi, Elisabetta?” E’ una domanda che mi pongo ogni giorno.
5. In
questa raccolta tratti anche il tema della bulimia, apertamente direi visto che
intitoli così proprio un componimento, e credo sia anche un modo adatto a
sfatare quello che è quasi un tabù riguardo ad alcune malattie. Descrivi la
bulimia come un “volevo essere magra, volevo essere amata” ma può ancora essere
definita la malattia di chi non ha amore?
Per me è stata una malattia del “non
avere amore”. Io mi sentivo grassa, goffa e brutta e mi rendevo conto che
nessuno mi voleva per quello “status” che, alla fine, si è rivelato più mentale
che fisico. Difatti, la prima persona che non si amava e non si accettava per
quello che era, ero proprio io. Bisognava cambiare il “cip” per potermi
accettare e questo “cip” mi cambiò parlandone e discutendone con i miei amici e
quando incontrai mio marito. Ora la bulimia esiste in quanto ai modelli sociali
che ci vengono imposti da riviste e TV di donne straordinarie solo se
straordinariamente belle e magre. Nella bulimia come nell’anoressia, penso che alla
base ci sia sempre la non completa accettazione di se stessi. E quindi del “non
amore” verso se stessi.
6. In
“Il vestito” termini il componimento parlando di qualcuno che ti conosce
realmente, profondamente, e che ti salva da te stessa e forse dalla tua parte
negativa. Parlacene.
Tutto deriva dal fatto che la maggior parte
delle persone, a volte, sente troppo stretti certi “vestiti” che ha indossato per
proprio volere, come nel caso della poesia, anelando a toglierseli di dosso. Ma,
vista l’impossibilità di farlo risulta preferibile annegare piuttosto che
continuare a vivere. E l’incontro con quel qualcuno che le salva togliendole il
vestito, senza paura di mostrarsi nuda agli occhi del suo salvatore è
provvidenziale. Spesso, ho avuto questa sensazione nella vita, ma bisogna
essere in grado di mettere i giusti pesi sulla bilancia per poter ritrovare un
proprio equilibrio e continuare a vivere in serenità.
7. Per
concludere indirizzi tre poesie alle tue
terre, quella italiana, per la precisione romana, e quella d’azione, ovvero
spagnola. Io non sono mai stata in Spagna e mi sono chiesta: “Il mare a
Santander è davvero nero o è lei che lo percepisce così?”
Il mare della poesia “I fuochi di
Santander” è nero perché sono i fuochi e noi tutti che eravamo lì a guardarli a
rischiarare la notte. Tali luci rendevano più cupo e scuro il mare di
Santander, l’Oceano Atlantico, immenso e meraviglioso. Dovresti andarci, anche
se ti consiglio di farti un bagno sempre con una muta perché l’acqua è gelata!
8. I
tuoi progetti presenti e futuri e un consiglio a tutti i poeti.
Un mio progetto presente a breve
termine è la prossima uscita di “Voz”. Il mio libro “Voce” è già stato tradotto
in spagnolo e sarà pubblicato qui in Spagna, in versione bilingue, per la
piccola editoriale Booklane per la quale lavoro come traduttrice e come insegnante
di italiano nella sua Accademia di lingue. Continuo a scrivere poesie, vorrei
raccogliere i miei racconti brevi con i quali partecipai a www.blusubianco.it,
terminare i miei libri iniziati e mai finiti... Vorrei consigliare ai poeti di
continuare a scrivere sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. Penso che solo
assecondando l’ispirazione di può riuscire a trasmettere veramente se stessi, a
cogliere l’attimo della nostra vera essenza. Non per niente il mio film
preferito è “L’attimo fuggente” (Dead Poets Society) e Carpe Diem si è convertito nel mio stile di vita. Almeno ci provo.
Grazie Elisabetta per codesta intervista a cuore aperto, per me, è servita a conoscerti un po' di più e devo dire che il tuo "ritratto" emerso mi piace davvero.
RispondiEliminaComplimenti e "AD MAIORA, NATI SUMUS, BRUTE" Cic.